‘… ma c’è chi non si è fermato perché non ha potuto permetterselo’: il punto sulla situazione della musica dal vivo che si avvia al post-Covid con la cantante fiorentina
Dice che le è mancato “il movimento, il viaggio. Le date, per carità, ci sono, ma non sono molte”. Almeno, meno di quante ne vorrebbe. Perché per Irene Grandi il palco rappresenta il traguardo ultimo del suo essere artista, il coronamento degli sforzi fatti in studio e in sala di registrazione. La cantante toscana, che è stata tra le prime a tornare a calcare i palchi dopo la fine del blocco delle attività a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19, passerà un agosto “a metà tra vacanza e lavoro”, a causa di una serie di date – le prossime a Limone Piemonte, domani 12 agosto, e a Marsciano, in provincia di Perugia, il 22 – che la vedranno protagonista sui palchi del nord e del sud Italia. Un lento ritorno alla normalità che la voce di “Bruci la città” sta vivendo come una gioiosa liberazione.
Com’è stato tornare sul palco, il 22 luglio scorso, a Roma, dopo il lockdown?
E’ stata una gioia. Mi è mancata la presenza dei musicisti: sono una cantante ‘pura’, l’esperienza musicale la concepisco come scambio, ho bisogno della presenza fisica della mia band. Non vederli durante il lockdown, a prescindere dagli aspetti creativi, è stata dura. E poi il palco è un momento di festa. Ecco perché tornare al live è stato, per me, un momento infuocato, ancora più intenso della realizzazione di un disco. All’inizio eravamo un po’ preoccupati dalla situazione: durante il soundcheck, senza il pubblico, il suono era strano. Ma l’Auditorium di Roma ci ha messo a disposizione il suo spazio più grande, la Cavea, che è un posto meraviglioso, e alla fine tutto è andato per il meglio. Un’altra cosa che mi è piaciuta, di questa situazione particolare, è stata l’essenzialità dello show. Niente megaschermi o effetti speciali: solo dei musicisti su un palco che suonano. Non c’erano distrazioni, l’attenzione del pubblico era tutta concentrata su di noi. E questo ha reso quel momento ancora più intimo e speciale.
Come hai pensato di riadattare con il power trio il tuo live set per adattarlo alle esigenze imposte dai protocolli Covid safe?
E’ una scelta che ha privilegiato l’energia, con una formula essenziale ma potente. Il feeling particolare che si è creato con la band rappresenta per me un legame forte. Saverio [Lanza], oltre che essere un chitarrista fenomenale, è anche un produttore, e quindi ha una visione molto chiara della resa d’insieme. Si è costruito una chitarra double neck con la quale usa accordature particolari, montando le corde da mancino, e riuscendo così a occupare col suo strumento anche gli spazi che nei pezzi meno rock vengono di solito occupati dalla tastiera: questo ci permette di bastare a noi stessi, sia nel caso di canzoni più tirate che nel caso di brani più orientati al pop.
Una volta terminata l’emergenza sanitaria, pensi di mantenere per i tuoi show – o per una parte di essi – questo formato?
Sì, lo terrò, perché mi piace da morire. Magari ci aggiungeremo un violoncello, o una sezione fiati, o comunque qualche strumento “nobile” per arricchire, ma l’ossatura della band – chitarra, basso e batteria – non si discute: sono innamorata di questa formazione.
Lo scorso 21 giugno hai risposto all’appello #iolavoroconlamusica fermandoti: come ha reagito, dal tuo punto di vista, la comunità artistico-musicale italiana?
C’è stato un momento in cui pareva che la musica dovesse fermarsi per tutta l’estate, ma la mia agenzia è stata tra quelle che ha scelto iniziare il prima possibile. Non è stata una scelta politica: non si è fermata perché non se lo poteva permettere, di fermarsi. Abbiamo sostenuto i lavoratori dello spettacolo, perché il loro stop nella bella stagione avrebbe significato il blocco completo del settore, e l’estate, per un musicista, è tutto. E’ il nostro momento.
Come giudichi le iniziative prese da diverse collecting, come per esempio NUOVOIMAIE, di andare incontro ai propri soci e iscritti varando programmi di aiuto nei loro confronti?
Credo che le collecting, oltre a NUOVOIMAIE SIAE, Itsright e le altre, con le loro iniziative abbiano cercato di sostenere innanzitutto la fascia di artisti a reddito più basso, e questo non può che farmi piacere. Meno male che esistono, perché grazie a loro chi fa il mio lavoro riesce ad avere delle entrate a distanza di sei mesi / un anno. Perché per il resto è lo zero assoluto. So di essere stata spesso in televisione, negli ultimi tempi, ma quella viene considerata promozione, e coi passaggi televisivi – di conseguenza – non ho guadagnato una lira. Non mi sto lamentando, ma se questa situazione dovesse protrarsi nel tempo in tanti, come me, potrebbero avere dei problemi. C’è sempre meno spazi per artisti che non seguono le mode del momento, come l’elettronica e la trap: gli artisti delle generazioni precedenti, che fanno musica suonata, fanno fatica a trovare spazio nella discografia, e così sono costretti ad autoprodursi, investendo in prima persona. Ma senza i concerti verranno meno anche i soldi per autoprodursi.
A proposito, hai sentito cos’ha detto l’amministratore delegato di Spotify Daniel Ek? Secondo lui per i musicisti, anche famosi, potrebbe non essere più sostenibile “pubblicare musica solo una volta ogni tre o quattro anni”. Molti artisti americani si sono risentiti, prendendolo – nei casi più estremi – a male parole…
Che cretino. Hanno ragione gli americani, sono d’accordo con loro. Ci si mette del tempo a fare i dischi perché li si vuole fare bene, non per vezzo. Spotify è una tragedia. Forse artisti come Ghali potrebbero avere un’opinione diversa dalla mia, in merito, ma se oggi non hai un suono conforme agli standard del loro algoritmo sei tagliato fuori dalle playlist, e quindi per una grande fetta di pubblico, specie quella più giovane, non esisti. Certo, come sistema è comodo, e ti permette di scoprire artisti che altrimenti non avresti mai avuto occasione di sentire. Ma credo davvero che i loro algoritmi debbano iniziare a prendere in considerazione anche altre sonorità, in modo da variare la proposta. Perché se sei fuori dalle playlist non fai click. E meno click fai, meno possibilità avrai di entrarci.
Nel decreto rilancio, da poco convertito in legge, non ci sono provvedimenti di aiuto nei confronti dell’industria discografica: sei rimasta delusa? Cosa hai pensato quando il presidente del Consiglio ha parlato degli artisti come di “quelli che ci fanno tanto divertire”?
Con Conte non me l’ero presa. Sui due piedi, avevo pensato che almeno c’era qualcuno che parlava di noi. E poi mi piaceva l’idea di “alleggerire” la gente, specie in un momento così difficile. Magari l’espressione è stata un po’ impropria, ma offensiva no, quindi lo perdono. Sarebbe stato meglio, se – oltre al divertimento – avesse anche incoraggiato le persone ad andare ai concerti, che, viste le misure anti-Covid adottate, al momento credo siano tra i posti più sicuri in Italia.
Dall’inizio della pandemia in molti hanno cercato soluzioni alternative per sopperire alla mancanza dei live, dai concerti in streaming (a pagamento) ai drive in fino ai concerti in barca: sono soluzioni che ti convincono o che ti lasciano perplessa?
Il discorso dei concerti su Internet non è male, ma il media ottimale per sopperire alla mancanza di concerti sarebbe la TV, perché la TV è di tutti: tutti pagano il canone, e la TV può vendere spazi pubblicitari per finanziarsi. E’ il mezzo più democratico. Poi la sua proposta potrebbe essere culturale, perché immagino che il palinsesto musicale lo assembli un esperto, un addetto ai lavori, qualcuno in grado di offrire al pubblico una proposta di qualità, con una valenza culturale. Si potrebbero trovare anche formule alternative al concerto tradizionale, come il concerto – intervista, o un concerto per il quale due artisti siano chiamati a collaborare: le formule solo tante. Poi si potrebbe concedere agli studi televisivi di tornare a ospitare il pubblico, ovviamente rispettando le norme di distanziamento: chi si esibisce la mancanza del pubblico la sente. Eccome se la sente…
Dal punto di vista creativo, cosa ti ha lasciato questo periodo difficile, se ti ha lasciato qualcosa?
Per me è stato uno shock. Non sono stata particolarmente creativa, perché ero frastornata dagli eventi. Poi, come dicevo, mi sono mancati i musicisti: tutti abbiamo una vita e tutti eravamo preoccupati per le nostre famiglie. Questo non ha fatto bene alla mia creatività. Per superare il lockdown ho trovato più utile condividere certe mie esperienza quotidiane, come la pratica dello yoga, alla quale mi dedico da anni e che mi ha permesso di conservare un certo equilibrio. Poi, dovendo stare a casa, ho avuto il tempo di dedicarmi a vecchi provini, outtake di dischi passati che mi ero ripromessa di lavorare, ma non posso dire che il lockdown, artisticamente parlando, sia stato un periodo produttivo. Poi io amo i viaggi, e purtroppo il virus ci ha privato di questa libertà, che per me è tra le più importanti.
Fonte: rockol.it -> https://www.rockol.it/news-716226/irene-grandi-e-il-ritorno-ai-live-il-palco-e-una-gioia