In occasione del lancio del disco “Lo Zecchino d’Horror”, abbiamo avuto il piacere di intervistare Marco Carena: cantautore per vocazione, cabarettista per caso, nonché attore, autore teatrale e regista.
INTERVISTA
Il tuo disco si presenta come una sorta di “antitesi” allo Zecchino d’Oro. Qual è stato il punto di partenza per questa idea e come hai scelto il genere horror per veicolare il messaggio?
Arrivando da Sanscemo, 1° Festival della Canzone Demenziale, che vinsi nel ‘90 con “Io ti amo… come una bestia” e che, evidentemente, si proponeva come antitesi a Sanremo il passo è stato breve. Quindi come in Sanscemo trovavano spazio tematiche e linguaggi che a Sanremo non sarebbero accettati, anche qui è la stessa cosa. Il termine “zecchino” non è da intendersi come moneta ma come insetto, la piccola zecca che si vede anche nel video di presentazione dei brani. “Horror” punta sull’un assonanza con “oro” più che sul riferimento al genere e ai “normalissimi” orrori a cui assistiamo quotidianamente, molti dei quali, questi si, per accaparrarsi l’oro, inteso come beni materiali di ogni genere. In sintesi, Zecchino d’Horror: ispirato da coloro che sono disposti a tutto, anche a succhiare il sangue degli altri, per il loro esclusivo beneficio.
Le tue canzoni affrontano temi come l’inquinamento, la violenza e l’ipocrisia sociale. Quanto pensi che l’ironia possa essere uno strumento efficace per sensibilizzare il pubblico?
L’ironia arriva dove altre forme di comunicazione non riescono a penetrare. A differenza della “presa in giro”, è un’arma capace di forare quel muro di preconcetti che alcune persone alzano di fronte ad argomenti che possono mettere in crisi i loro principi e i loro credo.
Non c’è niente di più pericoloso di chi si prende enormemente sul serio e si erge a depositario e difensore della verità. Certo, con quelli qualche rischio c’è, come succede ne “Il Nome della Rosa” dove dei monaci arrivavano anche ad uccidere coloro che “indulgevano al riso”. Spero di scampare alla “Santa Inquisizione” come Frate Guglielmo, anche se mi vedo meglio come Adso.
Nel disco parli di “bambulti”, un termine geniale. Chi sono i bambulti e cosa vorresti dire loro con questo lavoro?
Secondo me lo sviluppo della psiche di una persona e, quindi, del suo pensiero dovrebbero essere una continua evoluzione. Il bambino agisce solamente sotto l’impulso di desideri ed è totalmente indifferente e inconsapevole delle conseguenze di ciò che fa per realizzarli. L’adulto invece, una volta che ne ha preso coscienza, dovrebbe smettere di perpetrare certi comportamenti assurdi, illogici e dannosi per sè, per la società e per il pianeta. Chi invece apparentemente non è più un bambino ma non si comporta ancora da adulto è appunto un “bambulto”. Credo che generare stirpi di bambulti, sia la vera malattia dell’occidente: una pandemia che si diffonde sempre più fomentata da moda, pubblicità, religioni, politica e media a cui fa comodo poterli trattare e sfruttare come tali. Senza ricorrere a iperboli sociologiche, filosofiche e psicologiche, se ci pensiamo bene, alla fine siamo tutti, chi più chi meno, dei “bambulti” …non necessariamente “orribili”, anche se di quelli ne esistono sicuramente parecchi. Perchè in fondo cos’è che vogliamo? Le stesse identiche cose che desideravamo da piccoli: giocattoli, macchinine, barchette, aeroplanini, costumi per travestirci, favole, film, bambole o soldatini, cibi spazzatura zuccherosi e golosi, ecc.… solo che ne vogliamo molte di più e sempre più grandi, pregiate, appariscenti, esclusive, griffate, esotiche, veloci, costose e pericolose. Non solo, vogliamo anche più affetto, riconoscimenti, successo, ricchezza, bellezza, insomma… più tutto e di tutto. Per averle ricorriamo a qualsiasi mezzo. Tanto peggio per il pianeta e per gli altri esseri che ci abitano: vegetali, animali e alla fine anche umani. Tanto, come dice una delle canzoni: la soluzione per vivere felice e sereno c’è, ed è sempre la stessa, la regola aurea di ogni bambulto: “sbattitene la palle”.
Dopo anni di carriera tra musica, teatro e cabaret, che significato ha per te realizzare un progetto come questo?
È un altro capitolo, non certo il definitivo, un po’ diverso: qualcosa di nuovo e insolito. Voleva essere anche una sfida lanciata a me stesso: vediamo cosa tiro fuori da un’idea come questa e anche per chi mi segue: saprà riconoscermi e ritrovarmi anche in canzoni così?
Del resto, presentarmi con qualcosa che non ci si aspettava da me l’ho già fatto nel 2011 con l’uscita del mio cd “Ciao Turin”, un disco di canzoni della tradizione dialettale piemontese, da me riarrangiate, che comunque non deluse il mio pubblico. Sono fiducioso che sarà così anche di fronte a questo nuovo… “orrore”!
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