Dal 19 ottobre al 7 gennaio 2024 nella Biblioteca Leopardi
Espongono: Mrdjan Bajic, Giusy Calia, Paolo Canevari, Giuseppe Ciracì, Sebastian Contreras, Fabrizio Cotognini, Sabine Delafon, Ulrich Egger, Carla Iacono, Julia Krahn, minusLog, Giulia Napoleone, Deborah Napolitano, Matthias Kostner, Lamberto Pignotti, Vettor Pisani, Enrico Pulsoni, Giuseppe Stampone, Miho Tanaka, Naoya Takahara, Ciro Vitale
“Questo è un luogo straordinario; qui si respirano quelle atmosfere e quelle dimensioni che sono appartenute ad uno dei più grandi poeti della letteratura europea, Giacomo Leopardi, che io cito spesso. Un luogo che ci fa comprendere attraverso la Biblioteca la dimensione esistenziale e letteraria del Poeta. Bella la contaminazione con l’arte contemporanea perché noi dobbiamo pensare anche a produrre ‘il passato del futuro’, cioè una dimensione artistica che in futuro possa testimoniare l’epoca storica a noi contemporanea, e l’arte contemporanea va proprio in questa dimensione”.
Queste le parole del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano in visita a Casa Leopardi in occasione dell’apertura della nuova mostra allestita nelle sale della celebre Biblioteca del palazzo di Recanati.
In purissimo azzurro è la seconda esposizione del ciclo InterValli, con la quale uno dei luoghi più prestigiosi della cultura italiana si apre all’arte contemporanea, visitabile dal 19 ottobre 2023 fino al 7 gennaio 2024.
“E’ stato un privilegio ricevere il ministro Sangiuliano, grande estimatore di Giacomo Leopardi, in occasione dell’apertura della mostra. In purissimo azzurro è la dimostrazione che la Biblioteca Leopardi è un luogo vivo che continua a produrre cultura nel rispetto dello spirito con cui Monaldo, padre del Poeta l’ha fondata nel 1812 per sé, per i suoi figli, gli amici e i concittadini. – Ha affermato la contessa Olimpia Leopardi, discendente di Giacomo – Pur non essendo una conoscitrice di arte contemporanea, sono particolarmente colpita da come artisti di nazionalità, età, percorsi differenti, riescano a esplorare l’immaginario leopardiano in modo così personale. Credo che, oggi più che mai, l’arte – nutrimento indispensabile per lo spirito – abbia la possibilità di costruire ponti fra differenti culture e possa ricordarci che le differenze sono una ricchezza. Il nostro Paese testimonia arte e bellezza e ogni luogo della cultura ha la sua missione; spero che Casa Leopardi possa aiutare a diffondere il concetto leopardiano di social catena, inteso come fratellanza, necessità di sostenersi tra uomini e, insieme, volgere lo sguardo alla Natura”.
La nuova finestra sul contemporaneo, ispirata da Giacomo Leopardi, dialoga con i visitatori tra i ventimila volumi storici che hanno formato il genio del Poeta, partendo dal suggestivo verso della sua famosa lirica La ginestra, o il fiore del deserto, composta a Torre del Greco nella primavera del 1836.
Una mostra intergenerazionale e internazionale, nata da un’idea di Olimpia Leopardi e curata da Antonello Tolve, allestita negli spazi vivi della storica Biblioteca, dove la letteratura apre le porte a ventuno nomi dell’arte, nati tra gli anni Venti e Novanta del secolo scorso che vedono nell’ “odorata ginestra” leopardiana, “contenta dei deserti”, una chiara indicazione di resistenza alle sfide dei tempi.
“Dopo ‘Io nel pensier mi fingo’ che lo scorso anno ha voluto porre l’accento su L’infinito, l’idea di invitare degli artisti a lavorare sulla Ginestra apre oggi una breccia che coincide immaginificamente con la robustezza del pensiero divergente. – Ha spiegato Antonello Tolve – La forza di una riflessione, quella dell’artista, quella del poeta, quella dell’intellettuale totale, che interpreta l’arcipelago dei saperi con la convinzione che l’opera possa essere un dispositivo didattico o una linea di scambio la cui tensione interna scompagina ogni regolamento e ogni indifferenza quotidiana per diventare riflesso di riflessioni sull’ampiezza degli orizzonti, sulla libertà, sull’invenzione costruttiva o creativa, intesa in primis come pensiero divergente capace di rompere il potere preconfezionato: crediamo nel valore educativo dell’utopia, passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo alla capacità di criticarlo, all’impegno per trasformarlo (Rodari)”.
Disseminata lungo tutto il primo piano di Palazzo Leopardi dove troviamo la celebre Biblioteca dei “sette anni di studio matto e disperatissimo”, In purissimo azzurro è un percorso intermittente e avvincente, un viaggio visivo e critico che richiama alla memoria alcuni luoghi leopardiani per creare suggestioni, riflessioni, cortocircuiti costruttivi tra immagine e parola.
Sin dall’inizio della sua visita lo spettatore ha modo di incontrare alcune opere già nei pressi delle cucine – Giuseppe Ciracì con sei lavori (il più grande è Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude), Ulrich Egger con Leerstand, Ciro Vitale con un libro di cera e resina su cui si legge Or tutto intorno una ruina involve, i Minus.log con due Windows – e lungo il corridoio che porta alla prima sala, dove ci sono un nucleo di progetti che riflettono su Leopardi e sul suo pensiero. Qui troviamo, dopo due evocazioni fotografiche di Giusy Calia, il lavoro di Enrico Pulsoni sui VoltiTravolti tra i quali è possibile scorgere la firma di Giacomo Leopardi, un prezioso disegno di Giuseppe Stampone, un drappo di Sabine Delafon installato su una finestra per far filtrare una luce quasi di stelle, una serie di sanpietrini rivestiti all’uncinetto da Miho Tanaka e una storica poesia visiva di Lamberto Pignotti (Super Leopardi del 1965).
Tra la seconda e la terza sala il percorso presenta Nodi quasi di stelle di Deborah Napolitano (una serie di raffinati pinocchietti metallici con cappellino azzurro che cercano di fuggire o sono affascinati – finanche terrorizzati – da qualche volume della biblioteca), alcuni eleganti volatili e fiori in bronzo di Fabrizio Cotognini (il titolo complessivo dell’opera è Hybridatio Mundi) e, nell’alcova, una struttura a forma piramidale – 02023080 del 2020 – che evoca la «cresta fumante» del Vesuvio, a firma di Sebastian Contreras.
Dopo le due sale sacre della biblioteca, lasciate immacolate e senza alcun intervento artistico, lo spettatore può inciampare in Facciamo finta di niente di Mrdjan Bajic, chiaro richiamo a quel “secol superbo e sciocco” che Leopardi ammonisce, smentendo la visione dominante di fiducia nel progresso e nel futuro. In questa stessa sala, nelle teche che ospitano alcuni storici scritti leopardiani, ci sono tre poesie visive realizzate da Lamberto Pignotti nel 1975.
Una carta di Naoya Takahara che richiama alla memoria alcuni disastri dell’umanità (The Blu Planet) e una meravigliosa Pietra filosofale di Vettor Pisani, concentrazione del pensiero che da plumbeo volge verso l’aurea verità delle cose, abitano lo studio di Monaldo Leopardi, mentre, nell’ultima sala, accanto a Constellation di Paolo Canevari, a Above the clouds di Matthias Kostner, a un leporello di Carla Iacono (Speculum Alchemiae) e a una installazione (due foto e una scultura) di Julia Krahn dalla serie SIRENS, troviamo uno straordinario olio su tela di Giulia Napoleone, la Misura della memoria XXII (2012).