Il cantautore libanese, che il 24 giugno, insieme a «Indeed», sarà protagonista di un concerto speciale su Youtube – ci racconta la sua playlist dell’empatia, «la chiave per aprire mente e cuore». E l’ultima volta che si è sentito davvero libero
Per raccontare Mika ai pochi – pochissimi – che non lo conoscessero ancora, si potrebbero usare queste parole: artista, istrionico, cittadino del mondo, attivista. Nato a Beirut, cresciuto in Gran Bretagna prima di esplorare una buona parte del globo, il cantautore – presenza amata del nostro X-Factor – non si è mai tirato indietro, né nella vita, né nel corso della sua carriera. Le sue battaglie – contro l’omofobia, contro il bullismo, a sensibilizzazione della dislessia, solo per citarne alcune – le ha sempre portate avanti mettendoci il cuore e la faccia.
Il 37enne ora, nel mese del Pride, è ambasciatore della nuova campagna di Indeed, #SoundtrackOfEmpathy, che incoraggia ognuno di noi a essere se stesso in qualsiasi momento e luogo, anche sul posto di lavoro. Mika, per ribadire il potere della musica, ha creato una playlist dell’empatia, e sarà protagonista di un concerto speciale. Il 24 giugno, alle 21 sul canale ufficiale YouTube di Mika, sarà il tempo di un momento intimo e contemporaneamente di un abbraccio virtuale e universale. Indeed devolverà anche 40 mila dollari alla Born This Way Foundation, organizzazione non-profit fondata da Lady Gaga e un dollaro per ogni stream del concerto, fino a 40 mila dollari.
Che cosa significa empatia?
«È un concetto molto grande che inizia dai piccoli gesti. Per me empatia vuol dire lasciare spazio ai pensieri, alle emozioni, ai sentimenti di un’altra persona. Senza fare sempre paragoni con la propria vita, senza cercare di valutare se una persona abbia ragione o meno, semplicemente rispettando la vita altrui senza giudicare».
Come si fa?
«È fondamentale stare bene con se stessi, permette di sbloccare il potenziale umano ed emozionale di una persona. Inoltre per chiedere agli altri di mostrare empatia nello sguardo che hanno su di te, devi lasciargli la possibilità di conoscerti, non puoi nasconderti».
Quali sono i suoi piccoli gesti?
«Io torno sempre alla musica e all’arte. La musica e l’arte hanno questo potere incredibile di generare empatia anche quando sembra impossibile. Tra le cose negative dela pandemia c’è stata anche la chiusura dei musei, dei teatri, la cancellazione dei concerti. È importante andare a un concerto con 10 mila persone che non conosci, perché senza capire letteralmente quello che sta succend la tua anima prende ispirazione da quel momento colletivo, si muove l’onda. Mi piace pensare che ci sia una linea di empatia mondiale che possa collegarci tutti, e durante quei momenti si mette in modo».
Quanto le è mancato non potere salire sul palco in questo periodo?
«Sono rimasto molto più colpito da un fan che dice “non ho potuto ascoltare la tua musica”».
Ha raccontato più volte di essere stato vittima di bullismo, quand’era ragazzino. Oggi pensa che succederebbe ancora?
«Ci sono posti dove c’è tanta tolleranza, dove si tiene conto che siamo costruiti sull’idea di amarci e di rispettare tutti i diversi punti di vista. Poi ci sono altri posti e altri punti di vista molto intolleranti. Una soluzione potrebbe essere quella di circondarsi di persone che capiscono la tua vita ma non dov’essere così, devi sentirti libero di andare in qualsiasi posto e sapere che il rispetto per te sia garantito. Quando una persona si sente rispettata può solo provocare altre cose buone. La tolleranza genera tolleranza, l’ottimismo genera successo. La rabbia, invece, genera divisione e negatività».
L’ultima volta che si è sentito davvero libero?
«Tanti artisti dicono che si sentono liberi sul palco, ma secondo me quella è una bugia. Perché li sei già su una pedana di quattro metri, hai tante persone di fronte a te, c’è gioia, adrenalina, ma non libertà totale. Dimentichiamo allora il palco, per me la libertà è musica, è arte, ma quando sono spettatore. Quando sono in un museo e vedo una cosa che mi fa capire che c’è un altro modo di vedere il mondo intorno. Le nostre credenze sono importanti ma sono anche una sorta di gabbia».
Come sarà il concerto del 24 giugno?
«Abbiamo girato a New York, Los Angeles e Milano, e ho voluto mischiare musica e parlato. Io parlo e canto, ci sono colori, musica ed energia. E poi ho deciso di inserire una serie di interventi, tutti su un fondo bianco che poi diventa colorato. C’è un cameriere, un agente di musica, una drag queen, che ha deciso di non fare più la drag, ma di tornare a quello che aveva studiato e cioè a insegnare matematica».
L’arte passa dalla diversità, dalla libertà?
«La chiave è l’empatia. L’empatia è la porta verso la tolleranza, avere empatia significa aprire mente e cuore».
Fonte: Vanity Fair di Stefania Saltalamacchia: https://www.vanityfair.it/