Aperta la camera ardente presso la Casa Rosada dove si trova il feretro di Maradona, morto ieri a 60 anni. Migliaia i tifosi presenti in coda. La famiglia chiede di anticipare i funerali e l’avvocato vuole un’indagine: «Per 12 ore lasciato senza controlli»
Troppo dolore, troppa gente, troppo tutto. L’Argentina è sotto choc e «col corazon sufrido», il cuore che soffre, tanto che i funerali di Diego Maradona si dovrebbero tenere già stasera e non sabato, per espressa richiesta della famiglia, ma anche del governo e delle forze dell’ordine, che devono fronteggiare un’ondata di uomini e di commozione impressionante, incontrollabile. E ora anche di attacchi e polemiche, come forse inevitabile quando si tratta di Diego. Le prime accuse le ha lanciate il suo avvocato, Matias Morla, che chiede un’indagine perché «è inspiegabile che per 12 ore non abbia avuto attenzioni o controlli da parte del personale sanitario» e definisce una «idiozia criminale» il fatto che l’ambulanza «abbia impiegato mezzora per raggiungere l’abitazione dove Maradona era andato a vivere per iniziare la riabilitazione».
La veglia al palazzo del governo nel centro di Buenos Aires durerà fino alle 16 locali, le 20 italiane. Ma già in queste ore la situazione è impazzita, la polizia davanti alla Casa Rosada non sa più come trattenere le persone, in coda da ore. Com’era in fondo prevedibile, immaginabile, naturale.Non puoi non piangere, Argentina. Come per Evita, come per Carlos Gardel, come per Ernesto Guevara, anche se al Che, che era di Rosario, gli argentini in fondo non perdonarono mai d’aver fatto la rivoluzione lontano dalla sua terra. Non come Diego, che per la sua gente ha dato tutto, nella sua eterna guerra santa contro tutto ciò che era imposizione, sopruso, imperialismo.
«Oggi, quando uscirete sul campo, ricordatevi che state giocando non solo per voi, ma per i vostri fratelli, i vostri cugini, i vostri amici che sono morti ammazzati alle Malvinas» fu il discorso da brividi ai compagni prima di quella leggendaria partita con l’Inghilterra nel 1986 che è un pezzo della vita di tutti noi, non solo degli argentini. Era questo, Diego. Eccessivo e sbagliato quanto si vuole. Ma di certo per gli argentini un eroe della gente, un capo popolo, un padre della patria, perché il suo non era solo calcio, era il «grito sacrado», l’urlo sacro di «libertad libertad libertad» che gridò in faccia al mondo quella notte all’Olimpico nella finale del 1990, quando gli fischiarono l’inno, che per un argentino è come insultarti la mamma.
L’ultima e l’unica volta che la Casa Rosada aveva ospitato la camera ardente per uno sportivo era stato nel 1995 per il pilota Juan Manuel Fangio. Chi conosce però la mistica che fa degli argentini «un popolo unico perché incomprensibile e incomprensibile perché unico», come scriveva Osvaldo Soriano, sa che il solo paragone che regge è quello con Evita Peron, al cui funerale nel 1952 parteciparono milioni di persone. Stesse origini umili, lei e Diego, stessa rabbia popolare, stessa rivalsa sociale, stesso senso del popolo, stesso talento per la parola a effetto, per la provocazione, per il gesto teatrale. E per l’uscita di scena.
Fonte: corriere.it di Carlos Passerini -> https://www.corriere.it/sport/20_novembre_26/diego-armando-maradona-scontri-buenos-aires-la-polizia-l-idea-funerali-campione-gia-stasera-78378bd8-2fde-11eb-a612-c98d07fbf341.shtml